Sono rimasta alle Fiji più di quanto previsto.
I cicloni hanno scombussolato i miei piani facendomi perdere un volo e costringendomi (che cosa terribile!) a rimanere una settimana più del previsto.
Durante questa settimana in più il tempo è andato via via migliorando ma non è stato decisamente dei migliori. Il sole infatti l’ho visto solo un giorno e adesso, che sono seduta sull’aereo direzione Nuova Zelanda e sto sorvalando queste isole che non ho avuto il piacere di potere scoprire come avrei voluto.
Nonostante questo però pensandoci su ho dei bei ricordi di questo luogo, pioggia e paura a parte.
I fijiani sono persone calorose, accoglienti simpatiche e con la risata più coinvolgente del mondo.
Quando ridono lo fai anche tu, anche quando non sai perché stanno ridendo. È gente genuina che vive con poco e di poco ma socievole e che si prende cura di te.
Non dimenticherò come mi hanno trattato negli ostelli dove sono stata, in particolare al Ratu Kini quando bloccata sull’isola stavo letteralmente impazzendo e tutti sono sempre rimasti a mia disposizione anche quando ormai ero diventata noiosa e ripetitiva.
Ma quella che ricorderò come la più bella giornata della mia permanenza e che non avrei vissuto se non ci fossero stati questi cicloni è stata quella che ho passato con famiglia locale.
Tutto è cominciato con un furto. La ladra ero io. Stavo rubando delle foglie di banano da un giardino per fare un vestito. Lo avevo visto addosso a dei locali durante uno spettacolo e volevo in qualche modo rifarlo ma non avevo idea di come.
La maestra del villaggio, la cui casa era stata allagata dall’alluvione e che stava con la famiglia temporaneamente rifugiata in un'aula della scuola, vedendomi in difficoltà a tagliare la grande foglia (ormai già caduta a causa del mal tempo ma ancora attaccata all’albero), con coltello in mano si avvicina e mi chiede cosa diavolo stessi facendo?
Penso, sto nei guai.
Le dico da subito come stanno le cose. Voglio creare un vestito stile figiano. Lei ridendo mi passa il coltello e mi dice che sarebbe più semplice e più veloce se utilizzassi quello piuttoso che provarci con le mani.
Ho 2 foglie di banano in mano, per chi non lo sapesse sono molto grandi e a volte pesanti, ma prima di andare via ammetto che non ho la più pallida idea di come fare questo vestito e chiedo dei suggerimenti.
Lei mi dice “no worries. I am going to make it for you, you’ll be a fijian warrior”.
A quel punto si avvicina un’altra donna e 5 bambini.
“Bula (ciao in fijiano) what’s your name?”, Where are you coming from? I bambini continuano a chiedere nel mentre che le due donne prendono le misure per fare il mio vestito da guerriera delle Fiji.
A gonna e cavigliere completate chiedo come posso costruire in reggiseno in cocco.
Indossarne uno è sempre stato uno dei miei sogni.
Anche in questo caso le signore mi dicono che non devo preoccuparmi di nulla. Prendiamo due mezzi cocchi e li consegnamo al marito.
La tradizione vuole che questo indumento venga creato dagli uomini per le donne e così anche in questo caso facciamo.
Mi siedo con lui e lo osservo chiacchierando mentre scava il cocco al suo interno, lo pulisce, lo raschia, lo liscia. Con un ingegnoso lavoro fatto di fili crea il reggiseno che ho tutt’ora in valigia e che spero possa passare a tutti i controlli.
I bambini intanto sono sempre intorno. Uno che avrà si e no 6 anni mi dice che vuole fare il dottore, Maria che di anni ne h 10 vuole fare la maestra.
Al mio polso ho due braccialetti che mi erano stati regalati in Laos. Chiedo al papà se posso regalare i due braccialetti. Approva con cenno del capo. Li sfilo dal mio polso regalo quello arancione alla bambina e quello giallo al bambino.
Nel mentre tra una chiacchiera e l'altra il vestito è pronto ma non è ancora il tempo di indossarlo, rimaniamo che tornerò da loro più tardi, dopo cena.
La sera alle 19,30 mi ripresento a casa lora. Era buio pesto. Sull’isola non tutti hanno eletrricità e per arrivare alla scuola dovevo superare quello che era il campo da pallavolo trasformato in un laghetto a causa della pioggia dei giorni precedenti.
Per vestirmi la signora una la piccola torcia nel cellulare tenendolo fermo in bocca.
Prima la gonna. Poi il reggiseno. Poi le foglie di banano attorno alle braccia.
Il marito e tutti gli altri curiosi entrano in stanza per seguire i preparativi, ero ormai pronta.
A quanto pare era pronto anche lui: sciabola in mano, gonna in foglie d banano e pitturati in faccia usciamo dalla stanza.
La sua famiglia e i vicini di casa ci guardano, c’è chi ride, c’è chi batte le mani divertito, chi scatta foto.
Ci stavamo divertendo quando scoppia un brutto temporale. Un altro warning ciclone era stato diffuso e spaventata chiedo di accompagnarmi all’ostello.
I due guerrieri al buio attraversano la piscina/campo da pallavolo, corriamo da una casetta all’altra riparandoci sotto i tetti per poi continuare a correre.
Raggiungo l’ostello dove compaio vestita da guerriera e tra lo sbalordimento di tutti e grasse risate divento l’attrazione della serata.
Penso che per paura della pioggia non ho avuto tempo sufficiente per salutare in maniera appropriata questa famiglia che mi ha animato la giornata e fatto vedere un lato delle Fiji che ancora non avevo scoperto.
La mattina dopo finalmente ho la barca per tornare a Nadi.
Sono in ritardo ma scappo alla scuola per abbracciare e ringraziare queste splendide persone. Mi chiedono come si dice goodbye in italiano e io rispondo: abbiamo due diversi goodbye in italiano. Uno che si utilizza quando si ha a certezza di non rivedere qualcuno mai più, addio, e uno che si utilizza invece quando si ha la certezza o la speranza di potere rivedere qualcuno, arrivederci. Li abbraccio, li bacio e dico Arrivederci, Ni Sa Moce ! e mentre corro per non perdere la barca tutti in coro ripetono “Arrivederci, Ni Sa Moce !”
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