Vietnam in moto - La tristezza dei saluti (Parte IV)

Aggiornato il: 15 Settembre 2014
Scritto da: Matteo Stocchi

Il viaggio in moto in Vietnam di Matteo continua (per leggere la terza parte clicca qui), Laina e Hau sono anche in questa avventura i suoi compagni di viaggio.
Il fato e quel sentire squisitamente asiatico, la tristezza degli addii, per uno, e la certezza di un arrivederci per l'altro.
Le avventure di un trio divertente ed eterogeneo in un momento in cui la stanchezza inizia a farsi sentire e così la ricerca di valvole di sfogo con chi viaggia al proprio fianco.

Una scimmia i cui ruolo inconsapevole è quello di sottolineare le diverse impostazioni culturali, che a volte fanno sembrare le cose per quello che non sono.

Il viaggio da Da Lat prosegue per Na Trang. Due moto. Tre viaggiatori. Una scimmia. La tristezza dei saluti e una incontenibile voglia di ricordarla per capire se il futuro vuole, più in là, riservare qualcosa si più grande.

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Da Lat, giovedì 10 luglio

Sono dell’opinione, magari impopolare, che l’insicurezza si annulli con l’indifferenza.

Non che io voglia apparire apatico, in adeguate circostanze apprezzo quanto chiunque altro delle parole d’incoraggiamento, e trovo inoltre particolarmente struggente la loro enfatizzazione in quegli ispirati monologhi che tanto spesso troviamo nella cinematografia, ma va riconosciuto che un tale approccio dà collateralmente importanza al problema che ci si trova a fronteggiare, finendo inevitabilmente per gonfiarlo.

D’altra parte invece, qualcuno che ricorre all’indifferenza ci nega certo parte della sua empatia, ma ci dona al contempo un importante cambio di prospettiva per la quale quel nostro grattacapo, in fin dei conti, non è poi di una rilevanza tale da permetterci di abbandonarci nello sconforto.

Ora, che il carissimo Hau non me ne voglia ma nutro dei fortissimi dubbi che dietro il suo sguardo assente si nascondessero tali considerazioni, eppure devo riconoscergli che quel suo atteggiamento semplicistico nei confronti della grana, a mio parere non da poco, che lo smistare tre persone con i loro rispettivi bagagli su due moto rappresentava, mi distese.

Quel buffo figuro vietnamita schizzava nel porticato madido di rugiada come una trottola impazzita: la prospettiva del rimettersi in marcia gli aveva ridato smalto, cancellando ogni traccia del suo abituale fare sopito. Dopo aver terminato di imballare il proprio zaino nel nailon, chiamò autoritariamente a raccolta i suoi due assonnati compari.

-Ok, venite qua da me, tutti e due-

Lo raggiungemmo con l’entusiasmo dei morti, ciondolando e bofonchiando. Tanta operosità dovrebbe essere vietata per legge di primissima mattina, soprattutto se non è stata debitamente preventivata la sera prima.

Lui comunque non ci fece caso e proseguì.

-Dobbiamo decidere ora la formazione di marcia più adatta- Disse in tono serioso.

-Prevede di incontrare parecchi yankee, caporale?- Gli risposi sardonicamente.

Laina iniziò una risata che terminò poi in uno sbadiglio, mentre lui non sembrava invece aver afferrato dato che, appiccicandosi un sorrisetto insensato in faccia, annuì vagamente e andò avanti, guardandomi.

-Chi porta Laina, io o tu?-

Tanto risultarono chiare le sue volontà che non capii nemmeno se provò o meno a tenere nascosti gli occhi da fanciullo supplicante: il piccolo Hau quella Barbie avventuriera la voleva decisamente sulla parte posteriore del sellino del suo scooter, per cui decisi di non guastargli la festa. Non che si trattasse di pura e spontanea bontà di cuore, è solo che a quei tempi le probabilità stimate di vedermi rotolare sull’asfalto erano impietosamente alte, e la prospettiva di causare il suddetto rotolamento di qualcun altro non mi allettava di certo.

-Scelgo i bagagli, sono molto meno tediosi-

A causa del leggero stato comatoso che le appesantiva le sopracciglia, lo sguardo ammonitorio che da lei ricevetti, accompagnato dalle labbra increspate, la fece somigliare più a un bucaniere imbronciato che a una ragazza risentita. Mi confidò giorni dopo che gli argentini, generalmente, non sono un popolo particolarmente mattiniero.

-Bene!- Esclamò Hau, radioso –Preparo le moto e siamo pronti a partire!-

Matteo in moto

Matteo in moto

Ruotare la chiavetta nel quadro si stava dimostrando difficoltoso come di solito, sembrava quasi che qualcuno si fosse divertito a gettare della sabbia nella sede dei cilindretti. Sarebbe in effetti potuta essere un’ipotesi realistica se non fosse stato per il fatto che, ne sono certo, nessun essere umano presente a questa terra potrebbe mai essere posseduto da una malignità tale da infierire su quel rottame a due ruote.

Lo starter? Figurarsi, una volta premuto tutto ciò che ottenni fu uno strozzato e fastidioso ronzio che, con il passare dei secondi, andava somigliando sempre più al suono di una smerigliatrice applicata a una superficie d’acciaio. Lo presi come monito e iniziai malvolentieri ad accanirmi sulla pedalina per l’accensione manuale, e dopo numerosi tentativi a vuoto che altro non mi procurarono se non un doloroso livido sullo stinco destro, finalmente il motore tossì, sputò, rombò, e ricadde infine in un pulsare regolare.

Prima di rimettermi in sella soppesai inoltre la bizzosa catena: non ciondolava più indegnamente come in quella sventurata mattina ma, incredibilmente, era già più lenta di quanto non fosse soltanto il giorno prima.

A causa del peso aggiuntivo dei diversi bagagli fissati al portapacchi, per quanto un movimento potesse essere impercettibile le sospensioni urlavano comunque la propria sofferenza in una graffiante sinfonia di cigolii, abusando largamente della condiscendenza che avevo riservato loro visto il carico in eccesso.

Mi sistemai dunque sullo striminzito sellino.

Due dita sulla frizione, due dita su quel freno anteriore al quale sapevo benissimo di non potermi appellare in caso di necessità, due occhi fissi sul viottolo di fronte a me, due gambe che lottavano già contro un mal bilanciamento del peso e un solo pensiero in testa: avrei di gran lunga preferito affidarmi a un ronzino cieco e parzialmente zoppo piuttosto che a quella trappola succhia benzina.

E invece, contro ogni previsione, il mio scetticismo fu smentito.

Rischiai sì l’appiedamento in una delle più irte salite affrontate in quella mattinata, eppure grazie a una rapida (quanto totalmente istintiva) manipolazione del piccolo regolatore controllante l’afflusso della benzina al carburatore, riuscii seppur a passo d’uomo a conquistarla.

Per quanto riguarda il resto del tragitto invece, quel più che piacevole tragitto, non ebbi particolari problemi.

Le ampie strade, eccezion fatta per qualche sporadico mangiucchiamento laterale e per qualche piccolo squarcio, erano in condizioni più che dignitose, e complice anche la quasi totale assenza di circolazione assaporai la quintessenza del viaggio in motocicletta: i dolci tornanti montani. Intendiamoci, non che io possa vantarmi di essermi esibito in delle eleganti piegate, il carico posteriore ballerino e soprattutto la mia inesperienza sulle due ruote mi avrebbero steso sull’asfalto alla prima curva, ma mi permisi comunque con delle accelerate qualche licenza dalla mia solita guida estremamente coscienziosa, che Hau osservò invece scrupolosamente visto il preziosissimo carico che aveva l’onore di trasportare.

A uno sguardo approssimativo il contesto nel quale eravamo immersi sarebbe potuto addirittura sembrare un tipico saliscendi appenninico, con una boscaglia spenta dal maltempo che, a suo agio nei propri confini, poco aveva in comune con l’incalzante groviglio tropicale al quale questa terra mi aveva abituato.
Viernam in moto

Eppure era del terriccio rosso a imbrattare i miei ancora fradici anfibi, le nodosità dei fusti d’albero erano talmente accentuate da somigliare a delle trecce malfatte e i campi non erano coltivati a cereali, ma ospitavano bensì delle risaie, dove di tanto in tanto si poteva notare qualche sparuto agricoltore chino su se stesso.

L’aria era pregna d’una fragranza muschiata, richiamata dai frequenti ma fortunatamente rapidi rovesci, che si fondeva perfettamente con il primitivo odore di terra bagnata, e la sua freschezza era tale da procurare un tenue dolore fisico al petto, quasi come se i polmoni a un tratto non si bastassero più.

Tre furono le fermate che ci concedemmo prima del mezzogiorno, rappresentate da un allevamento ittico che non riservò le meraviglie promesse da Hau, una fugace pausa caffè in una delle sporadiche capanne disseminate lungo la via e, sotto un’imposizione che Laina aveva furbescamente mascherato come suggerimento, delle vecchie costruzioni in tronco grezzo e foglie di palma i cui monumentali tetti si allungavano per metri e metri.

Io e lei rimanemmo letteralmente stregati dall’erudita e appagante descrizione del complesso storico pervenutaci dall’unico vietnamita presente: “Questo è qualcosa di antico, una costruzione tradizionale, e serviva sicuramente a qualcosa che però non ricordo. Comunque se volete vi faccio una foto”.

vietnam capanne

vietnam capanne

In Asia vige una regola non scritta ma di valore assoluto: che tu possa starti deliziando dei caldi toni pastello della maestosa catena himalayana tibetana, dell’impalpabile sabbia bianca di un atollo cambogiano o degli odori pungenti di un mercato indiano, lo farai sempre e comunque soffrendo una qualche avversità ambientale, perlopiù rappresentata da sciami di fameliche zanzare tropicali o, nelle situazioni estreme, dalle gelide sferzate dei venti montani o dalle implacabili calure desertiche.

Ebbene, cullato da quell’amaca a maglia larga stavo vivendo quell’irripetibile eccezione che, come si suol dire, conferma la regola.

La brezza mi carezzava la pelle con la gentilezza di un’amante, quasi come fossi stato ricoperto da una fresca veste setosa che ora qualcuno stava tirando via con dolcezza, mentre gli orli delle maniche e i miei capelli fluttuavano pigramente, vincendo l’appesantimento causato da polvere, gas di scarico e sì, anche sudore.

Trovandoci ancora sopra i mille metri sul livello del mare nemmeno le ore più afose l’avevano vinta contro la frescura, e vuoi per la prima menzionata brezza, vuoi per grazia divina concessa, non c’era traccia dei piccoli insetti succhiasangue.

Ma l’utopia, si sa, non trova spazio in questa realtà, e un altro principio universale che non vale (purtroppo) soltanto dentro i soli confini asiatici detta che la vita, la beffarda vita, porrà sempre almeno una circostanza spiacevole nei nostri sfuggevoli sprazzi di nirvana.

In questo caso, la mia personalissima circostanza spiacevole era rappresentata dalla petulanza di un giovanotto vietnamita.

-Quando ripartiremo?-

-Hau, mio carissimo Hau- Calzai sull’aggettivo -Perché non cerchi semplicemente di rilassarti e goderti la tua amaca come sta facendo Laina?-

Lei sonnecchiava giusto dietro di noi, con il cellulare appoggiato al mento.

-Lo chiedo solo per sapere, non vorrai star qui per ore intere no?-

-La cosa ti disturberebbe poi tanto?-

-Si! Dobbiamo arrivare a Nah Trang!-

-E ci arriveremo, te lo assicuro, ma poiché per godermi quest’amaca ho anche dovuto comprare un casco di banane, non ho certo intenzione di lasciarla dopo soli dieci minuti-

amaca vietnam

Matteo sull'amaca

I tracciati vietnamiti sono pieni di questi porticati domestici adattati a punti di ristoro, dove in cambio di un acquisto di genere alimentare (solitamente frutta o bevande gassate) si ha l’usufrutto illimitato di un’amaca, e poco importava se si trattava solamente di una rete da pesca agganciata a due pali, stavamo sempre parlando di farsi cullare beatamente con il fondoschiena a venti centimetri da terra.

Dunque, anche se la pancia piena del dopopranzo rifiutava quelle piccole e gommose banane, pensai comunque che mai un dollaro fu più ben speso.

-Ok, come preferisci-

Lo disse con un tono leggermente risentito, ma decisi di non dargli peso e abbandonai le palpebre alla stanchezza. Mi piace quel ragazzo, davvero, ma talvolta i suoi eccessi di attivismo lo fanno risultare davvero esasperante.

I pensieri iniziarono ad allungarsi, stiracchiarsi, ma non ebbi che pochi secondi per avvolgermi nel piacevole oblio del dormiveglia, poiché sentii qualcosa di piccolo, forse un sassolino, colpirmi alla spalla.

Calma, mi dissi, la prospettiva di un sonno quasi raggiunto era largamente preferibile a quella di una ritorsione contro l’attentatore, che sicuro come la morte era l’ometto baffuto al mio fianco, ma quando ricevetti il secondo colpo, e stavolta in testa, dovetti per forza di cose destarmi.

-La facciamo finita o no?!-

Lo dissi ad appena un tono sotto l’urlo, e lo dissi in italiano, fissando Hau in cagnesco.

Dopo qualche secondo di ponderazione decisi che il suo sguardo perso fosse una prova sufficiente alla sua innocenza, e considerando inoltre che fui proprio io a svegliare Laina di soprassalto, il che l’immunizzò automaticamente da ogni possibile accusa, iniziai a roteare gli occhi alla ricerca del cecchino molesto.

E lo trovai in una scimmietta.

Fui immediatamente colpito dalla fermezza con cui quelle due nere fessure scintillanti sostenevano il mio sguardo, che non vacillarono nemmeno quando mossi alcuni lenti passi verso lei. Notai una catenella arrugginita cingerle il collo e ciò non mi sorprese, del resto mi trovavo nella terra del sole nascente, del sorriso ospitale e dei polli starnazzanti appesi per le zampe sui manubri dei motorini.

Sul fianco destro, il corto pelo cinerino contornava una vistosa escoriazione.

-Non avvicinarti troppo, potrebbe morderti- Mi ammonì Hau.

Eppure la scimmietta non sembrava averne alcuna intenzione, ed io mi fidai di questa mia impressione piegandomi sulle ginocchia proprio di fronte a lei.

-Tranquillo. Chi o cosa credi le abbia provocato quella brutta ferita?-

-Non ne ho idea, magari qualche animale, magari qualche incidente-

-Ma che dici! Sono stati i padroni, guardala, è anche malnutrita!- Intervenne Laina con un fervore tale da strapparmi un sorriso. Quello stesso fervore le era valso, giù in Argentina, la nomina di “tanita”, parola la cui etimologia affonda le radici nel bel paese giacché “tano” è per l’appunto abbreviazione di napoletano, immagine stessa della passionalità verace a quanto pare anche all’estero.

-Almeno a questo possiamo rimediare, passatemi una banana-

scimmia

Il piccolo quadrumane prese titubante il frutto dalla mia mano e lo mangiò poi alacremente. Non sembrava governarle appieno quelle dita sparute, che esitando continuamente sul dorso della banana parevano in procinto di farla cadere a terra da un momento all’altro, ma la cosa alla fine non accadde.

Sentivo lo sguardo di Laina addosso.

-Basta una banana per metterti a posto la coscienza?-

Mi voltai verso di lei e le risposi adeguandomi al suo tono tagliente.

-Vorresti forse che la adottassi?-

-Vorrei che tu la liberassi!-

Va ora fatta una piccola e doverosa precisazione: visti i considerevoli disagi che quotidianamente ci si trova ad affrontare disponendo di un budget d’una sola decina di euro al giorno, quella straordinaria valvola di sfogo chiamata litigio si va col tempo facendo sempre più seducente, e in quelle poche occasioni in cui si vive un rapporto abbastanza solido da poter tenere botta a qualche frase pungente, non ci si tira certo indietro.

Ma proprio quando stavo per rifilarle la stilettata che avrebbe definitivamente dato inizio alle danze, Hau intervenne a sbollentare gli animi.

-Laina, non si può liberare una scimmia domestica, come troverebbe poi il cibo?-

-Preferisco immaginarla a soffrire un po’ di fame altrove piuttosto che qui in catene a prender botte-

Lei sembrava aver perso parte del mordente, ma il mio incalzare la rattizzò immediatamente.

-Così per sapere, sei arrivata alla conclusione del maltrattamento basandoti su cosa?-

-Guarda che ferita ha! Non ti basta come prova?-

Come già detto però, discorsi tanto concitati poco si adattano alla riservata e soprattutto pacata attitudine vietnamita, e fummo quindi raggiunti dalla stessa giovane ragazza da cui avevo poco prima acquistato le banane. Ho l’assoluta certezza che ci avesse già classificato come delle rozze bestie, ma il suo sguardo gioviale riuscì a nasconderlo bene.

Dopo un breve dialogo con Hau, il cui senso non riuscì a intuire vista la completa assenza di una benché minima gestualità, vidi la vietnamita chinarsi e slacciare la catenella che costringeva la scimmietta al palo. Quest’ultima guadagnò rapidamente la spalla della padroncina appigliandosi alla lunga veste marrone, dove infine si agiò appollaiandosi.

Hau si voltò a quel punto verso me e Laina.

-Solitamente tengono la scimmia in casa, ma visto che in questo momento hanno degli ospiti l’hanno dovuta legare qui fuori per qualche giorno. Volete che io chieda anche il perché della ferita?-

Rivolsi il mio sguardo a Laina, accompagnandolo col sorriso più beffardo che potei.

-Non credo ce ne sia bisogno, qualcuno si sta già sentendo abbastanza idiota-

Ammetto di averlo sentito il pugno alla spalla che mi rifilò.

Nha Trang, venerdì 11 luglio

L’afa mi aveva infine riagguantato, e rinvigorita dal cemento e dall’asfalto, stava strizzando ogni liquido dal mio corpo alla maniera di una massaia con la sua spugna.

L’unica sbavatura di verde presente in quel posto era rappresentata dalle ridondanti palme messe a decoro del chilometrico lungomare, poiché Nha Trang bandisce senza riserve tutto ciò che non porti al saccheggio delle rigonfie tasche occidentali (perlopiù russe) presenti in loco, e chiaramente un insulso parco non è funzionale allo scopo.

Largo quindi a spacci, atelier, agglomerati commerciali spacciati per mercati tradizionali e club notturni: tutto fa buon brodo, e in quella città che un’identità non l’ha persa, ma bensì non l’ha mai avuta, qualche grassoccio turista a cui rifilarlo si trova sempre.

Era mattina, i primi raggi cominciavano una battaglia già persa con le ingombranti palazzine, il rumore sordo dell’apertura delle saracinesche si mischiava a quello dell’ancora sonnecchiante traffico e, come spesso ho constatato accadere in quel momento della giornata, un addio stava per essere consumato.

Eravamo tutti e tre per l’ultima volta raccolti attorno alla mia motocicletta, e Laina ruppe il silenzio.

-Sono gelosa di voi due idioti che viaggerete ancora un giorno assieme-

Una volta finito di parlare lei arricciò le labbra in una smorfia quasi infantile.

-E io sono geloso di voi due che vi rincontrerete dopodomani ad Hoi an- Replicò Hau con un filo di voce, che espose tutta la malinconia che lo stava atterrendo.

Le quattro mura domestiche e gli affetti in esse contenuti lo stavano attendendo da ormai troppo tempo viste le settimane spese a Saigon, e per quanto suggestiva sono sicuro potesse apparirgli l’idea di riabbracciare Laina nella cittadina di Hoi an, piccola perla architettonica situata nel mezzo del lungo tragitto verso Hanoi, stava dimostrando di avere la maturità necessaria per non forzare gli eventi e proseguire nella trama della sua vita.

Lui frugò nelle grandi tasche della sua giubba verdone, ne estrasse una malconcia fotocamera digitale e catturò l’istantanea di una Laina visibilmente impreparata all’obiettivo.

-Perché?- Chiese lei.

-Perché voglio ricordare la tristezza di questo momento per vedere se, in futuro, diventa qualcos’altro- Rispose lui.

Lei l’abbracciò di slancio, istintivamente, e dopo alcuni secondi d’esitazione anche lui si abbandonò a quel deliziosamente doloroso commiato.

Mi voltai, quel momento non era certo anche il mio.

Poi Hau s’allontanò, raggiunse il suo scooter ancora lordo del rosso terriccio montano e prese a controllare le funi elastiche che fissavano i suoi bagagli, anche se era evidente che non ce n’era alcun bisogno.

Il suo sguardo era fisso sull’asfalto.

-Bene, ci vediamo dopodomani allora- Dissi a lei accennando un sorriso.

-Si, a dopodomani-

Il suo tono spento mi spinse a stringerle una spalla.

-Fatti forza, altrimenti vedendoti così a terra sarò costretto a darti una banana per mettermi a posto la coscienza-

Suo malgrado, lei rise.

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Scritto da Matteo Stocchi

Matteo è un Travel blogger e un viaggiatore.
Sta attualmente affrontando un viaggio in solitaria, che di solitario ha finora avuto ben poco, e su Viaggiare Low Cost raccontare esperienze che un giorno potrebbero anche essere tue.
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