Del mio viaggio a Cuba ricorderò per sempre lo strano odore dell’aria de La Habana. La stessa aria che ha fatto ammalare mia sorella dai polmoni deboli e che l’ha costretta in ospedale per un mese al suo ritorno.
L'ho vista partire con 40 di febbre e che a stento si reggeva in piedi, non sapevo fosse così grave e per tutta la mia permanenza sono rimasta all'oscuro delle evoluzioni ospedaliere. Per non farmi preoccupare non mi avevano detto che quella strana febbre che continuava ad avere ogni volta che tornavamo nella capitale cubana non era che una brutta infezione probabilmente dovuta a quest’aria difficile da respirare anche per il più accanito fumatore.
Perché le macchine anni 50 colorate e vecchie, le chevrolet con marmitte di sicuro non cataliche non sono solo in cartolina ma sono i mezzi che sfrecciano per le strade di Cuba facendoti sentire parte di un mondo che fuori da li non esiste più.
E questo i cubani non lo sanno. Sanno che c’è qualcosa ma i mezzi di comunicazione con l’esterno non esistono. Internet non c’è e quando c’è ha costi proibitivi. E un cubano che guadagna $25 al mese non può pagare $10 per un’ora di connessione. Non saprebbe neanche cosa fare una volta in rete.
Un viaggio a Cuba è un viaggio che coinvolge tutti i sensi: vista, udito, olfatto, tatto.
Un viaggio nel tempo e in una cultura che per settimane mi ha dato da pensare. Anzi, considerando che scrivo questo post dopo più di un anno credo che il da pensare me lo abbia dato per molto più di qualche settimana.
Sono arrivata a Cuba a fine gennaio lasciando il freddo e la pioggia di Londra. Non appena scendo dall’aereo l’afa dell’inverno cubano, che è abbastanza caldo per noi, mi ha assalita, non riuscivo a respirare bene. Non sentivo quel caldo da molto tempo. Ma non solo. L’umidità faceva appiccicare i nostri vestiti e la prima cosa che ho dovuto fare è stata quella di levare gli strati di maglioni che avevo per rimanere in maglietta a maniche corte. Non ricordavo quanto il caldo potesse farmi soffrire.
Trovo mia sorella all’aeroporto che mi aspettava. Abbiamo volato con due diversi aerei e siamo arrivate con una differenza di due ore. Era bello sapere che stavo per cominciare questa nuova esperienza di vita con lei.
Era già sera, il fuso orario mi aveva confusa e non appena arriviamo alla casa particular troviamo Iolanda e Toni che ci aspettano di fronte la porta. Iolanda ci ha preparato qualcosa da mangiare e dopo per prime chiacchiere introduttive andiamo a dormire. 14 ore di volo ci hanno letteralmente distrutte.
Il giorno dopo dopo un’abbondante colazione stile Iolanda con Gaia (mia sorella per chi non lo sapesse) organizziamo il primo tour della città.
Solite raccomandazioni dai padroni di casa. Cuba è molto sicura ma stare sempre attente alle nostre macchine fotografiche, portafogli ecc ecc.
La nostra casa è vicino l’Università e a 10 minuti camminando dal Malecon.
Il Malecon è il lungomare, tutte le città cubane che si affacciano sul mare ne hanno uno. Ma quello di Habana è il più famoso. Anche chi non ci è stato sa benissimo di cosa sto parlando.
Le onde si schiantano con violenza sulle rocce e se si cammina dalla parte sbagliata c’è il rischio di farsi una doccia.
Dei bambini giocano tra di loro cercando di schivare gli spruzzi di acqua. Sembra un gioco consueto per loro e mi piace guardarli perché così diversi dai bambini europei che non giocano più a pallone in piazzetta ma hanno già in tenera età un telefonino e una playstation.
I bambini qui non sanno neanche cosa sia una playstation.
Camminando mi rendo conto che ci sono due immagini ricorrenti a Cuba, e in particolare a La Habana, il Che e Fidel Castro.
La devozione dei cubani per questi due personaggi è religiosa. Non mi è stato mai ben chiaro sino a che punto questo loro furore e passione per Fidel sia genuino e vero.
Sono stata in Paesi in cui non era possibile parlare male del re, ma in ambiti familiari mi veniva spiegata la realtà delle cose. Ma a Cuba che si stesse in un bar o che si stesse tra le mura di casa Fidel mi è sempre stato descritto come un eroe.
Eppure queste spiegazioni non coincidono esattamente con la qualità della vita, in molti hanno un doppio lavoro e il genere il secondo è illegale.
Il mio tassista era un ingegnere di giorno e un tassista illegale nel tempo libero, sua moglie una dottoressa che per raccimolare qualcosa di più doveva lavorare sifdando la polizia e i controlli, che possono essere frequenti.
Ammetto però che una cosa è vera. A Cuba nessuno muore di fame.
Il regime comunista in un certo qual modo funziona e vedere messo in pratica qualcosa che avevo studiato in diverse discipline, dalla storia, alla filosofia sino all’economia, è stato molto interessante.
In una società perfetta ed ideale e in un mondo non globalizzato questa politica ha un senso e potrebbe funzionare. Tutti hanno una casa, tutti hanno da mangiare, tutti sono istruiti. Il problema subentra nel momento in cui un dottore è pagato alla pari di un commesso e in cui i camerieri sono i più ricchi grazie alle mance dei turisti stranieri e quando diventa impossibile muoversi liberamente. Si è prigionieri del proprio stesso Paese.
Una sorta di chiusura che si scontra con con la fittizia apertura al turismo e allo straniero.
Il turismo infatti è incentivato, basti pensare all’orribile Varadero, che è un prodotto creato ad hoc per il turista, che di Cuba non vuole vedere nulla e fa il giro del mondo per poltrire sotto il sole e mangiando 24 ore no stop senza avere alcuna possibilità di incrociare un solo cubano.
Ma se il turismo è incentivato purtroppo quello che non viene incentivato è l'interazione tra i locali e i turisti.
I cubani in molte occasioni vengono tenuti a debita distanza dal turista. A Cuba il turista è tutelato e il cubano ha sempre torto, anche nei casi in cui dovrebbe essere l'opposto.
A Trinidad ho visto ragazze che non potevano parlare con turisti altrimenti la polizia le portava via e a me è successo di chiacchierare con un cubano nella piazza di fronte al Capidoglio e vedermi fiondare addosso un allarmato poliziotto in tempo record che dopo avermi chiesto se era tutto ok lo ha letteralmente portato via con sè. Non so dove e poco è importato quello che dicevo sostenendo che non era un fastidio. Ho visto questo gentile signore allontanasi, rideva ma i suoi occhi mi stavano dicendo ben altro, e io mi sono sentita colpevole per non avere forse detto abbastanza.
Difficile vivere a Cuba se si è cubani. Eppure dall’altro lato è un paese in un certo qual modo organizzato prevalentemente per i Cubani.
Uno straniero non può aprire un’attività a meno che il socio e quindi chi firma le carte non sia locale. Questo è il comunismo, anche se non mi riuscivo a spiegare la presenza di certi " ricchi". Pare che il comunismo sia valido per alcuni ma non per tutti e questo un altro motivo per cui la teoria per quanto idealmente perfetta, in effetti secondo me non farebbe una piega a certe condizioni umanamente impossibili, non durerà per sempre.
Perché di Fidel Castro non ce ne sono più e quello che mantiene il popolo cubano così attaccato alla loro terra è il Fedelismo non tanto il comunisco, il collante cubano è un uomo che con la sua eloquenza e la forza delle sue parole è riuscito ad organizzare una rivoluzione e salire al potere e mobilitare un popolo intero per la realizzazione del sogno comunista "sino alla vittoria sempre".
Nessun Paese, o forse pochi come il Myanmar per esempio, riescono a farvi viaggiare nel tempo, nello spazio e con la fantasia come può farlo Cuba.
Le città coloniali e decadenti sono soggetti fantastici per le foto, le macchine poi rendono ancora più colorato un Paese in cui i colori sono già dovuqnue.
Perdersi a Trinidad in cui i colori accessi delle abitazioni si abbinano perfettamente al blu del mare caraibico e ai colori sgargianti delle chevrolet fa sentire in un set cinematografico.
E poi La Habana, sporca, vecchia, con palazzi che stanno per crollare e gallerie d’arte sotto i portici in cui artisti locali lavorano 7 giorni su 7, enormi sigari cubani nelle bocche di fantomatiche cartomanti, musicanti malinconici sul malecon che suonano le trombe e le percussioni al tramonto, e cantanti sparsi nei bar e nelle vie principali che animano la lunga camminata alle note di qui saz que saz.
Cuba non è solo musica, salsa, Buena Vista Social Club e Mohito.
Io la ricorderò per sempre come un Paese malinconico, in cui i sorrisi nascondo qualcosa di più pronfondo, a volte disagi e voglia di scappare, a volte un amore talmente tanto profondo e vero per il proprio Paese che mi ha fatto vedere e toccare con mano cosa significa avere un ideale e lottare per questo.
Perché a Cuba: Patria o Muerte
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Bell'articolo... è di qualche anno fa, ma io che sono stata a Cuba nel 2015 ho trovato lo stesso Paese (e mi sono fatta le stesse domande per mesi) che descrivi tu.