A Chitrakoot il proprietario della guesthouse, un gentile omone vestito di bianco a metà tra il Baba ed un santone, quando sa che ho intenzione di passare tre notti a Khajuraho, con quel suo sguardo pacioccone in un corpo da gigante, dice che 1 giorno sia più che sufficiente.
Non sa, in verità, che causa di un internet traballante e poco veloce, negli ultimi giorni il mio lavoro è andato a rilento e voglio fermarmi da qualche parte.
Voglio solo un tavolino, una sedia e, soprattutto, desidero una città non abbia granchè da offrirmi. Non posso permettermi ulteriori distrazioni.
Non sa neanche che il viaggio che da Varanasi a Chitrakoot, e solo dopo avrei saputo che anche quello successivo, mi aveva succhiato buona parte delle energie rimaste e che cerco un luogo in cui, spero, possa trovare un pò di silenzio.
Prenoto lo stesso una camera allo Zostel per 3 notti. Brutta o bella che sia questa Khajuraho. E' il momento di stare ferma qualche giorno.
Il viaggio non è stato sicuramente dei più comodi. La tratta poco frequentata dai turisti, 7 ore per 170km, mi ha stremata.
Tra una litigata e l'altra, perchè mi fanno scendere e poi risalire, perchè le file non si rispettano, perchè come sempre per qualche motivo devo pagare più di quanto dovrei, e perchè l'ultima corsa è stata ad ostacoli cercando di schivare i tuk tuk drivers che facevano da schermo verso un bus in partenza e che ho preso letteralmente al volo, arrivo finalmente in un posto che tutto mi sembra tranne l'India in cui sono stata fino a questo momento.
I giardini curati e con prati all'inglese, alberi e grandi spazi ed una insolita pulizia mi fa credere di essere in un posto speciale.
Abbasso le difese tenute alte fino a questo momento.
Il cinguettio degli uccelli invece che i clacson. Sono in paradiso!
Qualche sporadico tuktuk non mi da fastidio. Finalmente sento la natura e gli spazi aperti che mi fanno respirare. Non sapevo ancora che questo villaggio piccolissimo quanto prezioso, stava per riservare delle importanti sorprese.
Il freddo del Rajasthan è ormai passato. Il sole scalda piacevolmente l'idea di essere in un luogo raccolto e poco trafficato, come turistico così da trovare semplici ma importanti comodità mi fa felice.
I luoghi turistici non li disdegno, anzi, mi tranquillizzano.
Mi fanno sentire un pò meno lontana, e alleviano dalla stanchezza. Mi rigenerano.
500 rupie e mi regalo una passeggiata in un giardino curato dove si ergono dei templi di roccia sulle cui pareti si raccontano scene di vita quotidiana di 1000 anni fa in cui anche il sesso era parte importante ed integrante, ho solo un dubbio su quello con gli animali ma se il tempio è un libro aperto allora vuole dire che anche i cavalli 1000 anni fa dovevano avere un certo fascino sull'uomo.
Le figure scolpite raccontano il kamasutra alternandosi a scene di vita quotidiana.
Un pò divertiti, chi un pò imbarazzato, passeggia tra questi meravigliosi templi rimasti in ottime condizioni immerse in un giardino che talmente tanto curato...che mi dimentico di essere India.
I fiori. Il prato inglese. Insomma tutto quello che l'India non è stata, oggi sembra racchiudersi in questo spazio limitato in cui tutti, donne e uomini, guardano divertiti. Dopo giorni tra monnezza e cacche di mucca questo luogo mi sembra il più bello del mondo.
Il viaggio è però lungo e devo arrivare ad Orissa, impresa epica per chi viaggia con i mezzi che sono spesse volte in ritardo o che sono sempre pieni. Incertezza.
In India non sai se parti, perchè sei quasi sempre in waiting list. Forse parti. Forse no. E se no, allora ci riprovi domani.
Ma questo vuol dire che non si può stare con le mani in mano ma che devi darti una mossa e intanto raggiungere la stazione migliore. Il crocevia. Quella città in cui sai che se non parti per Raipur almeno può partire Jabalpur.
E così sia.
Mi sveglio alle 8. Faccio i bagagli. Faccio chiamare un tuk tuk. Il treno per Orchha parte alle 12.30. Per non sbagliare voglio essere li una ora prima.
Il tuktuk Maharaje arriva, mi accomodo come sempre e mi faccio un pò i fatti miei. Nel mentre che Sunil guida ad uno svincolo sale anche Nandi.
Vuole parlare. Ma io no. Eppure non desiste. Arrivati di fronte alla stazione i ragazzi mi invitano per chai. Abbasso le difese, che qui ho imparato a tenere alte.
L'agricoltore che arriva dai campi mi regala 6 baccelli di piselli. Ne tengo due e regalo ai ragazzi gli altri quattro. Sharing is caring.
Mi sento comoda in questo mondo prevalentemente maschile e sento che di questi due ragazzi posso fidarmi. A volte per non fare la figura della sprovveduta devi fare almeno la figura della dura.
Nandi è un bramino. Sunil appartiene alla terza casta.
Nandi ogni sera celebra la puja, una versione meno in pompa magna di quella di Varanasi ma decisamente più partecipativa, ma questa è una delle tante cose che avrei scoperto quella stessa sera.
I ragazzi mi dicono che secondo loro il treno ritarderà di tante ore, mi convincono a tornare in paese e rimanere per una notte.
Nel farlo, punto il tuk tuk e dico "Ho un sogno da un paio di anni. Voglio noleggiare un tuk tuk e guidarlo per dare passaggi gratuiti a chi non può permetterselo".
Senza farselo ripetere due volte, mi accompagnano in ostello per lasciare lo zaino e cominciamo il servizio tuk-tuk gratuito nei dintorni di Khajuraho.
Se è vero che gli indiani spesso e volentieri chiedono più soldi di quanto dovrebbero e sparano cifre da capogiro per tutto, è anche vero che quando si stabiliscono certe connessioni il prezzo neanche lo dicono e lasciano che sia tu a decidere.
So benissimo che quello che sto chiedendo costa circa 450/500 INR, eppure per questa giornata io sono il capo e lasciano che sia io a decidere, sia io a fare il prezzo. Quello che posso, ribadiscono.
Nandi seduto al mio fianco mi aiuta a capire come farlo partire, come cambiare le marce, come fermarmi e come evitare mucche, biciclette e buche sulle strade dissestate.
Mi lascio prendere quasi naturalmente dall'ossessione del clacson, qualcosa che prima odiavo con tutta me stessa, in quel momento diventa la mia firma nelle strade.
Imbocchiamo una strada di campagna, attraversiamo un villaggio semplice e colorato tra i saree delle donne e i colori della frutta e della verdura. Arriviamo ad un villaggio su un lago.
Da lontano si sente la musica. Le donne escono dalle case e si affacciano dalle terrazze per vedermi e gridano, Atiti Debo Bhavà (l'ospite è dio), traduce Sunil.
“RamRam”, una versione educata e di grande rispetto alternativa a Namaste, che riscuote grande successo tra gli indiani, dico a tutte.
Un baba canta e altri uomini accanto suonano, sono invitata a questa festa religiosa dove un poster di Ram è tenuto stretto ad un tronco con un cordone e ai piedi dell'albero offerte di tutti i tipi (libri, caramelle, cibo, chapati, liquori, incensi) creano un mucchio di regali per il dio blu.
La festa inizialmente di uomini diventa poi una festa per tutti, bambini e donne che nel mentre sono intente a fare la pasta per il chapati e fanno un gruppo colorato a se, mentre al calar del sole, e dopo un servizio fotografico con i bambini e meno bambini, ma pur sempre amanti di foto, si comincia a celebrare la puja, come accade ogni sera.
Le donne in India mangiano dopo i loro bambini e dopo i mariti.
Il momento del pranzo o della cena non è comune ma la donna prima serve e poi mangia.
Così è anche oggi, mentre noi, io unica donna ma ospite, seduti per terra mangiamo dhal e ottimi chapati su dei piatti di carta, loro impastano, stendono e cuociono. Guardando sorridendo e nascondendo i visti dietro i veli quando si accorgono che a mia volta vado spiandole.
Il buio è alle porte e tocca tornare a Khajurao per assistere alla puja delle 18,30 che celebrerà il mio amico bramino Nandi e che, quella sera, dedicherà a me.
Si è fatto buio, sul tuktuk Maharaje i ragazzi mi riportano in hotel, non prima di aver fatto due chiacchiere al parco.
Fino ad oggi non sono riuscita mai a dire che amo l'India - dico - grazie a voi oggi posso affermarlo.
Si conclude così la giornata cominciata con un treno mai preso, un sogno realizzato e conclusasi con quel momento tanto desiderato ma che ha tardato ad arrivare, quello in cui finalmente ho capito che nonostante gli imprevisti l'India sa farmi sentire al posto giusto al momento giusto. Solo che lo sa fare quando meno me lo aspetto.
Prossima destinazione, Orcha.
Khajuraho è piccola ma molto concentrata, e grazie al meraviglioso complesso di templi è una meta turistica di tutto rispetto.
Una di quelle città che anche dopo aver fatto indigestione di templi induisti qui vale la pena per scoprire quelli che raccontano un'India di un tempo e che oggi si stenta quasi a credere che sia esistita.
Ovviamente essendo un centro turistico importante anche gli hotels e gli alloggi non mancano.
Per chi vuole dormire in un ambiente giovanile ed informale consiglio lo Zostel, che è una catena di ostelli di ottima qualità e con camere private, alcuni sono davvero bellissimi, molto grande in tutto il Paese.
Una opzione interessante, con piscina che durante la stagione calda è d'obbligo, è il Syna Heritage Hotel, camere doppie a partire da $50, in un ambiente gradevole e caratteristico.
Per una lista di hotels e guesthouse a Khajuraho clicca qui.
Non potrei concludere questo post senza ringraziare Sunil e Nandi che non solo mi hanno aiutata a realizzare un sogno ma che sono stati degli amici durante i giorni nel villaggio.
Se vi trovate da queste parti, contattateli, fatevi portare in giro, non potrei consigliarvi tuk tuk drivers migliori in grado di farvi calare in toto nella meravigliosamente complessa società indiana!
Per contattare Sunil chiamare o anche messaggio whatassapp +917770915582 e Nandi allo +91 9752189266
NON VE NE PENTIRETE! E date un bacione ai ragazzi da parte mia!
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Ciao Giulia
Molto appassionanti i tuoi racconti, mi fai sognare ad occhi aperti, adoro l 'India ma ho un marito troppo quadrato per tornarci per la terza volta...sigh
Quest 'anno si va in Sri Lanka infatti..mi studierò per bene il tuo post..
Se clicco sul link Facebook non mi dá la pagina: ci sei con 1 altro nome?
Ciao e grazie
Anna